No future



Errico Malatesta, l’anarchico. Errico Malatesta a Savona, il primo maggio 1920, in piazza, agita la mano e bacia un bambino. Errico Malatesta che muore nel 1931, ottantenne, confinato in casa, con la bombola d’ossigeno per l’enfisema polmonare, sei poliziotti alla porta, dopo anni di vita errabonda, il ribelle tribuno internazionalista. Errico Malatesta in bicicletta e su piroscafo, in Francia e in America, in fuga. Errico Malatesta che scrive: «abolizione di monarchie, repubbliche, parlamenti, eserciti, polizie, magistrature, ed ogni e qualsiasi istituzione dotata di mezzi coercitivi» e «abolizione delle frontiere» e «vogliamo per tutti pane, libertà, amore, scienza» e «istruzione scientifica per tutti e fino ai suoi gradi più elevati». Errico Malatesta che si arrangia come meccanico, riparatore di cucine, elettricista, inventore: una macchina da scrivere ultraleggera, uno sbucciapiselli, una incubatrice per polli.  Errico Malatesta che attraversa l’East End, arringa i convenuti nei circoli e nei pub di Londra, vestito in tua blu, spettinato, tanto che l’ambasciatore italiano scriveva: «Il soggetto è rassomigliante alle foto conosciute specialmente quando il Malatesta vuole assumere l’aria da operaio trascurato nel vestire e nella capigliatura in piena crescenza e vuol prendere aria di cipiglio insolente e di rozzezza». A Errico Malatesta gli dicevano di stare buono e tranquillo e lui no, non ho bisogno di stare tranquillo, scriveva.
Errico Malatesta, che direbbe ora, all’ombra del cemento e delle gru, i pugni in tasca, nell’assordante silenzio. Mormora fra i denti una strofa: «Vecchi, cemento, centrale a carbone. Savona: galleggi a fatica nel torbido mare». 



La vita di Malatesta è ripercorsa da Vittorio Giacopini in Non ho bisogno di stare tranquillo (elèuthera 2012). Sotto: un panorama di Savona dalla Margonara, negli anni '40. 







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